Wu Ming per Dario

Incontriamo Dario cinque volte nel biennio 2002-2003. Ceniamo insieme a lui e altri in posti tanto diversi quanto possono esserlo un ristorante di Ferrara (parliamo di fotografie e vecchi giornali), una pizzeria di S. Lazzaro di Savena (parliamo delle stranezze dei sammarinesi) e la festa di Radio Onda d'Urto a Brescia (sotto un acquazzone martellante, immisericordioso, parliamo dell'acquazzone martellante e immisericordioso). Alcuni di noi lo conoscevano di vista, per via di amici comuni.

La prima volta che lo ascoltiamo corre in mente una vecchia, abusata massima (indiana, pare): per capire o giudicare una persona devi camminare tot miglia nei suoi mocassini (il chilometraggio varia a piacere di chi ripete la frase: cinque miglia, cinquanta miglia, cento miglia...). Siamo alla Sala Estense di Ferrara, durante le prove di un evento ideato e organizzato da Stefano Tassinari. L'attore Marco Baliani leggerà brani del nostro romanzo "54", con accompagnamento-e-molto-di-più degli Yo Yo Mundi. La parte iconografica: sequenze di fotografie "in tema", immagini d'epoca, titoli di giornali, quadretti di famiglia, volti di dirigenti sovietici, marasma di vecchia contemporaneità proiettato alle spalle della band. Tutto lavoro di Dario.

Sta per nascere qualcosa, un cd, una tournée... E' serata topica, cruciale, cioè di incrocio, incrocio fra persone destinate a diventare amiche e collaborare. C'è pure Fabrizio Pagella, che presto metterà a disposizione corde vocali, corpo comico, tempo, sinapsi.

Ventotto giugno duemilaedue.

Pensiamo ai mocassini, sì, mentre Dario ci spiega come ha lavorato per raccogliere le immagini. Ha seguito le nostre impronte. Ha percorso la nostra stessa via negli archivi e nelle emeroteche. E' partito dagli "intermezzi" del romanzo, sfilze di titoli di quotidiani (Carlino e Unità) montati per contrasti e contrappunti. Titolo, testata, data.

 

"Il Resto del Carlino", 06/06/1954.

Inasprita l'agitazione sindacale
AGENTI DELL'ORDINE FERITI DA SCIOPERANTI NEL FERRARESE
Tentata azione intimidatoria / per impedire l'affluenza dei liberi operai nelle fabbriche / Denunce e arresti.

 

Etc. Da lì è partito Dario. Lavoro lento, meticoloso. Prelevare il faldone dell'annata, consultare il giornale di quel giorno, rintracciare l'articolo, fotografare la pagina. Cammina nei nostri mocassini, Dario, per giorni che lo inghiottono. Ha visioni, lo dice lui, pensa agli anni Cinquanta, la giovinezza dei suoi genitori. Rovista tra le foto di famiglia, ne sceglie diverse, le aggiunge alla sequenza.

La sera, mentre Baliani declama e gli Yo Yo suonano, noi guardiamo le immagini, di nuovo sentiamo le dita del mondo sui vecchi nervi, quelli toccati e ritoccati come corde di un pianoforte mentre scrivevamo il libro. Ogni foto sposta qualcosa, fa partire scariche. L'apparizione di Krumlov ci esalta. Chi mai al mondo si è esaltato... per Krumlov?

Quando pensiamo a Dario Berveglieri, pensiamo a una persona che, come un ladro-gentiluomo, è penetrata nel nostro cervello-a-cinque, si è intrufolata nell'intimo del nostro lavoro, ha aperto la cassaforte (non la chiudiamo mai a chiave) e fotografato le mappe del tesoro, infine se n'è andata senza rubare niente, anzi, lasciandoci regali.

E ha lasciato regali al mondo, cioè ha saputo vivere.

La "buona vita" di Dario è cosa che risalta e si puÉ intuire da tanti aspetti, anche senza aver avuto il privilegio di conoscerlo a fondo. Vogliamo segnalarne uno, anzi tre. Si tratta di tre meraviglie, anzi di una. Si chiamano Stephanie, Ariele e Ruben, un "unicum" di capelli biondi, occhi azzurri, sorrisi dolcissimi, sguardi di tenerezza profonda, lancinante. Abbiamo avuto la fortuna di incontrarli e conoscerli in diverse delle repliche del reading musicale di "54", realizzata dagli Yo Yo Mundi, Fabrizio Pagella e Dario, appunto. Crediamo ne abbiano viste a decine. La loro presenza irradiava il palco di una luce che nessun tecnico puÉ riprodurre. Dobbiamo essere sinceri, all'inizio di fronte a quella bellezza, a quel dolore sereno, abbiamo provato una specie di rabbia, un senso di ingiustizia al quale non sai dare spiegazioni. Ti ritrovi a pensare che la vita fa schifo, si accanisce contro le sue versioni migliori, infligge sofferenze indicibili proprio a coloro che hanno il cuore grande e sono capaci di ispirare e dare amore infinito. Invece la vita è quella che è e basta, dà e toglie, fa e disfa, e niente va perso, tutto si trasforma. E ritorna.

Eccoli lì. Eccola lì, quella meraviglia, la prosecuzione della vita di Dario che salta e scorrazza lungo un prato illuminato dall'ultimo sole mentre gli Yo Yo cantano "Non c'è nessun dopoguerra". Una meraviglia che canta, balla, sorride, con tre teste, sei gambe, sei braccia, e ti fa pensare che per fortuna ci sono, abbiamo ancora speranze. Saremo di nuovo felici.

Il ricordo di Ruben che recita "Il Paperotto", a memoria, sotto il palco, è un'emozione che porteremo con noi per sempre, come quelle cose preziose capaci di insegnarti in un attimo più di quanto appreso in interi anni. Ringraziamo Dario come fosse un fratello, per questo, e Stephanie, Ariele e Ruben. E a loro chiediamo di continuare a portare in giro quella meraviglia, quella magia, che il tempo non potrà sconfiggere.

 

info@associazionedarioberveglieri.it