Stefano Tassinari per Dario

Giochi di luci e di ombre ridanno vita a cortecce antiche, mentre oggetti e frammenti di una memoria condivisa - una bicicletta, un lampione, una foglia ingiallita - fissano sullo sfondo i passaggi del tempo. Lo sguardo sensibile di Dario - il quale, attraverso queste foto, continua a prestarci i suoi occhi - abbraccia l'intimità della natura, ma anche i volti contratti del conflitto jugoslavo e quelli stupiti di un'Algeria non ancora insanguinata, fino a restituirci intatte la serenità interiore dei somali e la gioia misurata dei berlinesi appena riuniti, espresse proprio nel momento in cui la Storia non sapeva quale direzione avrebbe preso. E quanto Dario sapesse scavare nella condizione umana lo si coglie senza alcuna fatica, osservando i dettagli di una socialità rubata ancor prima di venire al mondo, nascosta nel futuro incerto di un'Africa che arriverà a ringiovanire un'Europa dilaniata e stanca, oppure solo immaginata, come un bisogno riflesso negli occhi di un bambino che vorrebbe scavalcare una grata, frapposta al desiderio di muoversi in piena libertà. Poi ci sono i ritratti, di uomini e donne importanti, la cui fantasia musicale, cinematografica e letteraria scandisce da anni le nostre giornate, come scandiva le sue, così piene di entusiasmo per la cultura e per la vita da sembrarci sempre infinite, anche quando la ragione ci costringe ad ammettere che esse sono terminate qui, impresse su queste stampe capaci di ricordarci una stagione breve ma intensa, con l'aggettivo "intensa" a consolarci per l'obbligo di usare quell'altro aggettivo, "breve", così poco adatto a definire l'esistenza di chi sa sognare. Infine, c'è l'emozione che ci prende nel vedere certe foto che conosciamo bene, come quella scattata dall'alto verso il basso, con al centro l'espressione meravigliata di un ragazzino di Algeri. Molti anni fa, la scegliemmo insieme per illustrare la copertina di un numero di "Luci della città", quello straordinario laboratorio di idee - oggi lo possiamo dire, senza passare per immodesti - che per quasi un decennio raccolse intorno a sé una parte importante dell'intelligenza e della creatività di questa città.

Con noi, in quelle quattro stanze di via Gobetti, c'era anche Dario. E, per tanti versi, c'è ancora.

 

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